Ogni vino ha inizio da un processo di fermentazione. Il mosto ricavato dalla pigiatura delle uve, grazie all’azione dei lieviti selezionati, diventa vino grazie alla trasformazione degli zuccheri in alcol e anidride carbonica. Questo processo è definito, per l’appunto, fermentazione alcolica. Esistono, però, una serie di ulteriori processi che vengono attivati a seconda del vino che si vuole ottenere. Uno di questi è la fermentazione malolattica, spesso utilizzata nei rossi, ma ultimamente adoperata con successo anche nei bianchi. Ogni grappolo d’uva, e di conseguenza il vino che ne deriva, contiene al suo interno una serie di acidi che contribuiscono a definire il gusto, l’intensità e la persistenza di ciò che berremo nel calice. Fra questi acidi ce n’è uno che definiamo “malico”, dai sentori aspri, forti e pungenti. La fermentazione malolattica, così come il nome lascia intuire, è quel processo nel quale l’acido malico viene trasformato in acido lattico, più morbido e meno acre, durante le fasi di lavorazione in cantina. Per avviare questa seconda fermentazione è necessario affidarsi ai batteri lattici che sono naturalmente presenti nel mosto, riattivandoli grazie a una serie di ceppi batterici acquistabili nei negozi specializzati, che l’enologo aggiungerà secondo le quantità e le modalità necessarie. Per dirla metaforicamente: i batteri lattici presenti nel mosto sono dormienti; l’enologo, grazie al suo intervento con i ceppi batterici, li risveglia e gli permette di avviare quel secondo processo di fermentazione che definiamo malolattica. Ovviamente non tutti i vini potranno essere sottoposti a questo processo. Per farlo sono necessarie alcune condizioni tecniche imprescindibili, tra cui: ph del vino non troppo basso (vale a dire vini non eccessivamente acidi); percentuale di alcol etilico inferiore al 15 percento; temperatura degli ambienti non superiore o inferiore ai 18-20 gradi. Il risultato, come dicevamo poco fa, saranno vini di maggior equilibrio, persistenti, di buon corpo e dai profumi fini ed eleganti. Ciò andrà a discapito dei sentori primari, che risulteranno meno marcati, in favore di una maggiore presenza di sentori terziari come la vaniglia, le speziature, il cuoio, il caffè, il tostato.